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Quite ready to go |
Sassari, Facoltà di Scienze (via Vienna)
04 settembre 2012, h. 9.30
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Buongiorno (?) dal balcone |
Non sembrerebbe difficile, no? Eppure:
- ricordo di non avere ancora lavato i denti e con un unico colpo da maestra (sic!) sporco di dentifricio camicia e pantaloni;
- decido per un look perditempo più complesso da preparare, un misto di maestrina dalla penna rossa, Sex&TheCity e Milano in trasferta;
- scopro che la siccità ha non solo seccato le spugnette dei tergi (utilissimi con la pioggia a caduta rapida e ripida sul parabrezza), ma le ha addirittura tagliuzzate alla julienne (che poi, ditemi un po', ma chi cavolo è 'sta Julienne?); dunque freno, accosto, tiro fuori dal portabagagli Glassex e Asciugatutto e inizio a pulire il parabrezza abbandonato per un mese quasi sotto un albero cinque stelle lusso, a guardare la grossa utenza ingorda che ha lerciato tutto;
- arranco con la testa fuori dal finestrino fino a via Vienna, ricordandomi solo dopo di non aver segnato il numero civico della facoltà, poi penso "Una sede come scienze si vedrà, no?";
- lascio la macchina dal meccanico per cambiare le spugnette e due lampadine che, chissà come mai, hanno smesso di strizzarmi l'occhio e inizio a girovagare;
- giro con sguardo di amara sorpresa attorno a un quartiere gigantesco di grandi strutture, decido di fermarmi e scopro che in poche centinaia di metri ci sono: Veterinaria, Chimica, Fisica, Veterinaria sperimentale (così mi dice uno specializzando con un pastore tedesco al guinzaglio più grosso di me, cui dice: "No, stai tranquillo, è solo una che si è persa", e spero non sia un cane da riporto...);
- finalmente arranco sotto la pioggia nel cortile di Scienze, mi registro soddisfatta (il nome era giusto!) e inizio ad accusare con un po' di piacere masochistico la tachicardia da esame, che comporta i seguenti passi falsi:
- controllo isterico dell'ora, da sincronizzarsi tra orologio, cellulare e iPhone (dimenticando che non dovrei sincronizzarli con loro, ma con gli orologi dei docenti che, chissà come mai, seguono sempre un fusorario speciale);
- chiamata rapida alla mia famiglia (per assicurarmi che mi vorranno bene comunque o per sincerarmi di essere ancora in un mondo reale quando si parla di nonne rampanti, problemi di geometria o del rincaro della benzina...);
- controllo a tutto il look con successivo ripensamento, pentimento e successivo "ma 'fanculo, va'";
- foto per il Magnetofono (una cosa buona almeno!);
- controllo dei miei futuri compagni d'esame...

Poi arriva lei, a sedersi affianco a me. Capelli perfettamente curly, freschi di parrucchiera stantia, un set di penne da fare invidia a tutta la Bic insieme, matita con temperamatita a forma di coccinella (cancelleria superstiziosa, si può fare agli esami), due paia d'occhiali e tre antistress. Insomma, questa donna è come un aereo: ha tutto ridondante. Per la familiarità al Ryanair, mi tranquillizzo. Almeno finché non inizia a chiedermi:
- se sono brava, perché certo, una che ha la borsa di Harrods non vuol dire che è stata in UK ed è stata presa da un attacco di conformismo globalizzato, ma sicuramente che è quasi madrelingua (?!);
- insiste su cosa ho studiato, cosa faccio adesso e come mai proprio questo esame;
- si offende un po' per le mie risposte evasive, ma fingo di non prestare attenzione a quanto stringe spudoratamente gli antistress (uno per mano e il terzo è sparito... Non voglio sapere in quale luogo inquietante);
- mi racconta tutto il suo iter scolastico e l'avventura grama che l'ha portata lo scorso anno ad essere selezionata ma a non essersi iscritta in tempo. "Adesso", commenta soffrendo, "va a finire che non so più niente e non mi prendono neanche... E dire che avevo passato l'A2!". Penso a un'autostrada italiana, poi ricordo l'assurda nomenclatura dei livelli di inglese e mi rassereno: non ha ancora pensato a una forma originale di suicidio.
Intanto, la docente spiega come avviene l'esame, le 55 domande tra multiple choice e il completamento finale, tutte in ordine di complessità, fino all'eccellenza, e rimarca che "non serve a niente copiare, danneggereste voi stessi. A noi serve sapere non tanto quello che sapete ma quello che NON sapete". Mi lascio sfuggire un: "Esatto, chi copierebbe poi? Siamo tutti adulti", ma la mia vicina non sembra pensarla come me: "Copiare magari no, ma un confronto delle risposte... o qualche consiglio...". Capisco di avere vicino una ex-A2 decisa a marciare verso il podio (o almeno è lì che mi pensa, w Harrods, che dà competenze linguistiche babeliche) con il vecchio trucco del "guarda là cosa c'è" seguito da copiatura spasmodica di tutto l'answer sheet. Ed è lì che mi impunto e decido che difenderò l'intimità del mio answer sheet con tutta me stessa, a costo di macchiare di inchiostro la camicia rosina (seconda camicia cambiata in una mattina!).
45 minuti. Al 30esimo consegno, sconvolta dai tentativi biechi di copiatura a cui ho assistito (tre anni in 200):
Si occhieggia sui fogli del compagno con queste strategie:
- "Scusa, avresti un fazzoletto?"
- "Oh... Oh... Eh?" sguardo ammiccante dopo ripasso vocalico da un foglio all'altro, come a proporre un gemellaggio;
- "Se mi dai il foglio, dopo ti porto dove vuoi" (un po' equivoca e quasi da stalker);
- sguardo di panico dall'altra parte della stanza, sperando che il vicino faccia altrettanto e si distragga dal collo-giraffesco proiettato sul foglio;
- "Sai che in America hanno provato che i compiti fatti in equipe vengono meglio?" (un genio!);
- "Hai l'aria intelligente. Io non troppo. Controlliamo?".
Fuggo disperata all'aria aperta, sollevata dalla fine dell'esame e con un "Va', è uscito anche il sole" in tasca. Mi sento più leggera, fumo una sigaretta immaginaria di felicità mentre chiamo un attimo a casa e invece scopro che:
- mi hanno chiamato 2 volte dall'università (anche se sapevano che sarei stata fuori)
- la macchina non era ancora pronta, ma l'ultima telefonata mi invitava (con tono convincente) a correre lì appena possibile
- mi tocca iniziare a percorrere i 4,5 km che mi separano dall'ateneo con passi lunghi e ben distesi, soffrendo per la camicina rosa che rischia di tramutarsi in un porpora poco signorile a furia di corricchiare, alla bella giornata che mi aspetta (con rientro dopo le 20) e a quella cavolo di parola che ho inserito poco furbamente e che mi trivella la testa...
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La camicia rosina, vittima della situazione. |
Io speriamo che me la cavo.
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